Recensione Spegni il fuoco della rabbia di Thich Nhat Hanh

Copertina libro

Perché leggerlo?

Cercare di stimolare sempre la curiosità è uno dei valori che cerco di seguire nella vita e su questo blog e, se siete capitati su questo sito, sospetto con piacere che sia anche una vostra priorità!

Non leggo solitamente libri che riguardano il buddhismo, credi religiosi in generale o che abbiano a che fare con la spiritualità, ma proprio per il motivo di cui sopra ho provato comunque a dare un’occhiata a Spegni il fuoco della rabbia di Thich Nhat Hanh.

Ci sono cose che non ho particolarmente apprezzato: la prima parte soprattutto, in cui si trovano una serie di consigli che ho trovato molto banali, pieni di cliché e semplificazioni, con nulla di scientifico alla base, ma guidati dai principi spirituali del Buddhismo e della filosofia zen.
Ci sono molte ripetizioni di frasi e concetti che affaticano un po’ la lettura, ma che si possono tollerare, visto l’intento educativo dell’opera.

Tuttavia, siccome credo di aver trovato degli spunti utili in questo libro, ho provato a riassumere ciò per cui vale la pena secondo me leggerlo.

Avere cura delle proprie emozioni

L’intento dell’autore, un monaco buddhista, è di insegnarci ad avere a che fare con le emozioni negative, le quali non sono altro che una modalità del nostro corpo di farci sapere che qualcosa non va e che c’è qualcosa di cui dobbiamo prenderci cura.

“Se ti viene un problema allo stomaco o ai polmoni non li butti via. Lo stesso vale per la rabbia: va accettata perché sai che puoi prenderti cura di lei”.

Penso sia bella questa attenzione e cura verso quello che ci può essere di brutto nei nostri pensieri e nelle nostre emozioni: non sono da ignorare, da combattere o reprimere, non siamo su un campo di battaglia, vanno accettate tutte, anche quelle negative, ma come?

Uomo che medita su un campo

La presenza mentale

L’autore fornisce alcuni strumenti, come una tecnica che riguarda il respiro o un particolare tipo di camminata che possono aiutarci ad essere in presenza mentale, uno stato di consapevolezza che può aiutare a trasformare le emozioni negative, proprio come si fa con il compost (per utilizzare una delle metafore di Thich Nhat Hanh).

La presenza mentale impedisce anche di ricorrere ad espedienti di controllo delle nostre emozioni o di sfogo dannoso. Siamo noi i responsabili della rabbia, ma crediamo ingenuamente che soffriremo meno se puniamo anche gli altri. L’autore suggerisce invece che in quei momenti sarebbe meglio non dire e non fare nulla, perché la punizione dell’altro alla fine è punizione di sé stessi.

Sempre a proposito della presenza mentale Hanh racconta di un incontro con una donna che aveva saputo della passione del maestro per l’orto:

“Caro maestro tu scrivi poesie così belle. Passi anche molto tempo a coltivare lattuga e ortaggi. Perché non passi più tempo a scrivere poesie? Quella donna pensava in maniera pragmatica e mi suggeriva di non sprecare il mio tempo lavorando nell’orto, ma di usarlo per scrivere poesie”.

Lui le rispose:”Mia cara amica, se non coltivassi la lattuga non potrei scrivere le poesie che scrivo”.

Nella nostra società orientata verso il risultato, gli obiettivi, i numeri, pensiamo spesso che il tempo sia denaro e che tutto debba essere veloce e remunerativo (inteso nel senso economico e di risultati ottenuti).

Questa storia mi ha fatto riflettere sul bisogno di vivere a al meglio ogni momento della vita, anche quelli che lì per lì sembrano inutili. Il tempo utilizzato per stare bene non è tempo sprecato e, paradossalmente, rende più efficace tutto il tempo vissuto nella nostra vita. Se non vivi a fondo ogni momento della tua vita non puoi scrivere, non puoi produrre nulla di valido da offrire agli altri.

Due consigli preziosi

Uno dei motivi per cui sono contenta di aver letto questo libro è la scoperta di un’idea che si trova verso la fine del libro: nei momenti di caos emozionale è bene portare l’attenzione alla pancia perché tenersi a livello dell’intelletto è pericoloso. Più volte l’autore aiuta a comprendere più a fondo i concetti tramite metafore e quella riservata a questa idea l’ho trovata di particolare efficacia, tanto che a distanza di mesi dalla lettura del libro continua a tornarmi in mente ed è stata di grande aiuto in alcune occasioni.

Hahn ci dice di osservare la cima di un albero durante un temporale. Essa è vulnerabile e instabile, mentre se guardiamo il tronco si ha un’impressione diversa: l’albero è solido e tranquillo e resiste.

La respirazione e l’attenzione verso il basso, a livello della pancia, aiuta a essere in contatto col presente e a notare come l’emozione sia solo un’emozione: lei arriva, sta con noi un po’ e va via. Alla fine la tempesta passa.

Firma Chiara

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