Recensione: Il piccolo libro dell’ikigai

Qual è la vostra ragione di vita?
Sì, lo so, non è proprio una domanda dalla risposta facilissima e infatti se penso al concetto del “Trovare una ragione di vita” mi viene in mente un processo di ricerca doloroso e una conquista faticosa.
Ken Mogi, neuroscienziato giapponese, in questo libro ci parla dell’Ikigai riuscendo a rendere leggero sia un argomento come questo sia le mie riflessioni nel corso della lettura, rivelandosi un viaggio piacevole alla scoperta del Giappone e dei suoi valori.
L’ikigai è un concetto radicato nella cultura giapponese: rappresenta un atteggiamento mentale e racchiude quelle che mi sembrano una certa sensibilità e una modalità di comportamento tipiche di questa popolazione.
Interessantissimo (forse solo per me che ho studiato lingue :p) l’accenno a Francis Galton, uno psicologo inglese dell’800 secondo il quale alcuni tratti particolarmente rilevanti di un popolo finiscono per codificarsi nel linguaggio di quella civiltà e più è presente la caratteristica, più è probabile che venga concettualizzata in un’unica parola.
Allora eccola qua: la parola Ikigai, composta da “Iki” vivere e “Gai” ragione. Chi coltiva l’ikigai, chi cerca una ragione di vita, sente di poter aspirare a un’esistenza felice e attiva e per illustrare meglio questo concetto Mogi si affida a 5 pilastri. In questo breve articolo mi piacerebbe parlare dei due che più mi hanno colpita.
Primo pilastro: cominciare in piccolo.
“L’ikigai abita il regno delle piccole cose: l’aria mattutina, la tazza di caffè, il raggio di sole”.
In Giappone si è soliti accompagnare il primo tè verde con qualcosa di dolce, proprio come qui in Italia.
Questa voglia di “dolcezza” al mattino nasconde qualcosa di scientifico alla base: infatti mangiare alimenti che ci piacciono al mattino fa rilasciare dopamina, il che rinforza l’azione (in questo caso di alzarsi) che compiamo prima dell’arrivo della ricompensa.
Ho trovato di una semplicità e allo stesso tempo di una bellezza sconvolgente questa piccola cosa: il potere di educare a un certo tipo di azione tramite una piccola ricompensa. Un invito a saper essere genitori di se stessi in un certo senso, senza bisogno di essere normativi o punitivi nei nostri confronti, anzi, per dirla alla Jordan Peterson, trattandoci come una persona che abbiamo la responsabilità di aiutare. Ken Mogi suggerisce di aiutare la ricerca del nostro Ikigai iniziando dal mattino, trovando un nostro piacere e sfruttando la gioia che suscita in noi per farla lavorare a nostro favore.
Per scovare questi piaceri personali Ken Mogi ci aiuta ponendoci delle domande che anche io rivolgo a voi: “Quali sono le cose che per voi hanno più valore sentimentale? Quali sono le piccole cose che vi danno più piacere?” Mi piacerebbe leggere qualcosa nei commenti!
Si tratta di ottimi punti di partenza per riuscire a svelare il proprio ikigai e farne uno strumento per vivere una vita più felice e appagata; scoprirlo spetta solo a noi, è una questione di responsabilità che non si può scaricare all’esterno.
“Coerenza e obiettivi fanno brillare anche i frammenti più minuscoli di ikigai”.
Secondo pilastro: dimenticarsi di sè
Uno dei principi chiave del buddhismo zen (il concetto più moderno è paragonabile alla Mindfulness) è la capacità di dimenticarsi di sé e di stare nel presente, qui e ora. Ken Mogi, tramite l’osservazione della cultura giapponese, lega questo concetto alla scoperta dei piaceri sensoriali.
“Alleggerendoci del peso dell’io possiamo aprirci all’universo infinito dei piaceri sensoriali”.
Tempo fa mi ero imbattuta in un video su Youtube della cerimonia del tè giapponese e mi aveva colpito l’attenzione ai dettagli in ognuno dei gesti che accompagnano questo rituale. La cerimonia segue uno dei principi che sono alla base della filosofia giapponese: l’Ichigo-ichie, la consapevolezza e il rispetto della natura effimera di qualsiasi incontro e quindi di quanto sia importante godersi e trarre il massimo da ogni momento. Per trarre piacere dal qui e ora bisogna dimenticarsi di sé e lo si può fare ad esempio occupandosi dei piccoli dettagli di qualche procedura, o entrando in uno stato di “flusso”, stesso concetto incontrato nel libro di Goleman che avevo recensito tempo fa.
Mi viene in mente una metafora legata all’occhio che ho letto in un libro di Frankl. Soltanto l’occhio malato riesce a vedere qualcosa di sé stesso come l’occhio che ha dei difetti nel cristallino (pensiamo ad esempio alla cataratta). L’occhio sano vede bene solo se non vede se stesso.
Mi è sembrata un po’ la stessa cosa con questo pilastro dell’Ikigai: bisogna arrivare a non vedere se stessi, per poter rivolgere l’attenzione tutta all’esterno e al presente.
Conclusioni
Non posso che consigliare vivamente di prendersi anche solo dieci minuti al giorno e leggere questo piccolo libro! Per riflettere su cosa sia per noi l’ikigai o semplicemente per lasciarsi guidare tra le varie curiosità dell’affascinante cultura giapponese.
Facendo un bilancio sulla mia ragione di vita, ancora non so con certezza quale sia e se ci sia.
Forse vale la pena agire sempre come se il nostro percorso avesse uno scopo per riuscire a sfruttare a pieno le possibilità che la vita ci offre. Purtroppo non so nemmeno se la direzione che ho preso è giusta, anche perché molte cose non dipendono da me e gli obiettivi cambiano continuamente nel corso della vita, ma grazie a questo libro ho capito che se non si riesce a trovare l’Ikigai o non si hanno le idee chiare, proprio allora bisogna cercare, scavare nella direzione di quello scopo per trovarlo, anche solo partendo da una buona tazza di tè al mattino.
